MANDANTI IN CONCORRENZA
e recesso per giusta causa ai danni dell’agente
Nell’ultimo periodo si assiste sempre più frequentemente a controversie causate della volontà di alcune case mandanti di evitare la liquidazione delle indennità di fine rapporto anche nei casi in cui ai rispettivi agenti non possa essere mosso alcun addebito.
Le ragioni individuate con lo scopo di non corrispondere indennità legittimamente dovute sono le più varie e ne indico solo alcune:
- mancato raggiungimento di budget impossibili da raggiungere;
- calo delle vendite quando la diminuzione dei volumi è assolutamente in linea con quella che può essere la media del settore interessato;
- asserita attività in concorrenza quando vi era la perfetta conoscenza dei rapporti esistenti tra l’agente e le altre sue mandanti.
Tra tutte, la più pericolosa è senz’altro l’ultima, ovvero lo svolgimento di attività a favore di una mandante in concorrenza.
A volte si tratta di rapporti coesistiti per anni, senza nessun reciproco problema o addirittura di mandati che, in un certo senso, si sostenevano a vicenda, andando a completare l’uno le mancanze dell’altro e permettendo ad entrambe le mandanti di usufruire di quel più ampio pacchetto clienti di cui era portatore l’agente.
Innanzitutto dobbiamo precisare che il concetto di concorrenza è molto ampio, in quanto l’articolo 1743 del codice civile prevede: “l’agente può assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro”.
Gli accordi economici collettivi limitano maggiormente il concetto di concorrenza precisando che è da escludersi la possibilità di concorrenza quando l’incarico conferito all’agente o rappresentante riguardi “generi di prodotti che per foggia, destinazione e valore d’uso siano diversi e infungibili tra di loro”.
I casi che intendo portare oggi all’attenzione sono quelli in cui un viene contestato all’agente di aver trattato prodotti in concorrenza quando le mandanti erano pienamente a conoscenza che l’agente aveva nel proprio portafoglio prodotti potenzialmente configgenti.
In tali ipotesi e ancor più se le vendite dei prodotti erano in aumento, stupisce ed è senz’altro contrario a buona fede il recesso per giusta causa intimato dalla mandante.
Malgrado la pretestuosità del recesso, la mancata comunicazione scritta e la difficoltà di provare l’avvenuta comunicazione orale causano molte volte la necessità di instaurare cause che, in presenza di un semplice documento potrebbero essere evitate.
Con quanto sopra esposto non intendo affermare che il buon esito di un’azione sia impossibile, ma che l’azione stessa, in molti casi, potrebbe essere evitata o resa molto più veloce solo grazie all’esistenza di una comunicazione scritta recapitata alla mandante con indicazione dei diversi rapporti coesistenti nel medesimo lasso temporale.
Avv. Federico Robazza